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Storia
Dalle origini al Comune
La verde conca di Vaiano, come tutto il territorio circostante, fu sicuramente sede di insediamenti rurali almeno dal periodo romano, ma il primo nucleo abitato si sviluppò probabilmente sulla scorcio del X secolo intorno alla Badia di San Salvatore e fu strettamente legato alle innumerevoli attività del monastero, la cui importanza economica e sociale, oltre che religiosa, crebbe rapidamente, portando ad una notevole crescita dell' agricoltura e della silvicoltura sul vasto territorio circostante.
Dal XII secolo, con la parallela formazione del feudo degli Alberti e del Libero Comune di Prato, Vaiano divenne uno dei "popoli" del distretto pratese, al confine col feudo degli Alberti.
Anche per questa sua posizione l'abitato, che si sviluppava lungo una strada principale,fu dotato di difese e porte e, probabilmente nel secolo XIV, di mura che lasciavano all'esterno la Badia.
Lo sfruttamento dell'energia idraulica del Bisenzio, avviato a partire dal medioevo con mulini gualchiere, magli, cartiere e fonderie, fu alla base, dalla fine dell'ottocento, dello sviluppo industriale della zona, con opifici tessili anche di notevoli dimensioni.
Tale attività industriale portò alla formazione delle prime leghe sindacali; durante i moti sociali del 1919 a Vaiano fu proclamata e subito disciolta con la forza la "Repubblica dei lavoratori della Val Bisenzio".
La costruzione della "Direttissima Bologna - Firenze dal 1914 al '34 e dal dopoguerra, la crisi dell'agricoltura e del sistema mezzadrile, contribuirono, congiuntamente con la vocazione industriale della zona, a modificare rapidamente vita sociale e aspetto di questa area.
La guerra e le distruzioni operate dalle truppe tedesche nel 1944 causarono inoltre l'abbattimento di molti edifici storici del piccolo centro, trasformando per sempre la fisionomia urbana ed architettonica del paese.
Nel 1949 Vaiano venne riconosciuto comune e iniziò il suo percorso di autonomia politica ed amministrativa.
Vaiano, il capoluogo
Dal villaggio pagus Varianus alla nascita del Comune
In antico Vaiano era un modesto villaggio (pagus Varianus), già noto in epoca romana, presso il guado sul fiume Bisenzio dove in seguito nacque la Badia di Vaiano, come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti in questo sito.
Qui si fermarono i Longobardi che lasciarono traccia di sé nelle sepolture rinvenute sotto la chiesa di S.Salvatore (VII-VIII sec. D.C.). Per molti secoli Vaiano è stato soprattutto l’ abbazia e i suoi possedimenti, a controllare e manutenere il fiume, spesso responsabile di rovinose piene, e la strada maestra della vallata, in questo lembo settentrionale del Comune di Prato, nel basso medioevo terra di confino per i ghibellini.
L’antico borgo di Vaiano, racchiuso tra due porte e attraversato dal fosso di Trescellere, fu popolato nel tempo da artigiani: non mancava un mulino idraulico che fu di proprietà della Badia, che attiguo al monastero aveva anche un frantoio per la frangitura delle olive.
Nell’agosto 1849, quando non c’erano più i frati, perché il monastero era stato soppresso dal governo napoleonico nel 1808, Giuseppe Garibaldi, in fuga dalla Romagna, accompagnato dai patrioti locali verso Prato, si fermò a Vaiano dai pastai Bardazzi, dove prese un caffè e fumò un sigaro.
Attorno al borgo orti e poderi sparsi e della vicina fattoria del Mulinaccio, fino a trent’anni dopo, quando sulla sinistra del fiume, a settentrione della Badia, fu costruita la prima grande fabbrica tessile, seguita da altri due stabilimenti sulla riva opposta, accanto a preesistenti mulini idraulici. Comincia così la storia industriale di Vaiano che si è sviluppata in più di un secolo, vedendo crescere negli anni Cinquanta grandi complessi ed una miriade di stanzoni artigiani, che hanno segnato anche la toponomastica del paese.
La costruzione della ferrovia Direttissima, culminata con l’inaugurazione nel 1934 della stazione di Vaiano, cambiò i connotati dell’insediamento urbano, con la strada che dalla Badia scende al fiume e attraversa quelli che un tempo erano campi coltivati del podere di Casino.
Con la nascita del Comune di Vaiano, nasce l’attuale circonvallazione, che poggia sul Ponte Nuovo, accanto a quello antico a groppa d’asino, distrutto dai Tedeschi in ritirata nel 1944, e sul Ponte della Pace, che immette alla Rotonda dei Salici, cosiddetta per la sua caratteristica di arredo urbano in archeologia vegetale.
Il cuore storico del capoluogo - Museo della Badia di Vaiano
La Badia di Vaiano è il cuore storico del capoluogo: intorno a questo complesso monastico di epoca altomedievale, con notizie documentate fin dai primi anni Mille) sorse il primo agglomerato urbano.
Il Museo occupa l'ala sud dell'antico monastero benedettino vallombrosano (comprendente il refettorio e l’appartamento dell’abate con cappella e scrittoio decorati nel XVIII secolo), ma tutto il complesso della Badia di Vaiano deve essere considerato museo di se stesso. Attraverso l'esposizione dei reperti archeologici e degli arredi dell’antico monastero illustra la vita quotidiana dei monaci e la loro funzione religiosa, economica e sociale nel territorio:
- Le attività dei monaci e il tempo del lavoro;
- la Badia di Vaiano e il tempo della preghiera; la Compagnia del SS. Sacramento e le Congreghe del Rosario e di S. Cristina; processioni, viatico e religiosità popolare;
- le chiese del territorio sono i temi affrontati nelle sale del museo.
La Badia di Vaiano ha avuto una storia complessa e molto interessante: dalla sua fondazione in epoca altomedievale, molto probabilmente ad opera di un clan familiare longobardo, alla sua adesione alla riforma vallombrosana, capitolo toscano della Renovatio Ecclesiae dell’XI (che dal papa Gregorio VII prende il nome di Riforma Gregoriana), per arrivare alla soppressione del monastero nel 1808 ad opera delle truppe napoleoniche.
Nel corso della sua lunga storia la Badia ha legato le sue vicende a quelle di illustri personaggi, come Carlo de’ Medici, figlio naturale di Cosimo il Vecchio e Giovanni de’ Medici, futuro papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico.
Nel 1538 visse a Vaiano Agnolo Firenzuola, uno dei più interessanti scrittori del tardo Rinascimento, con la funzione di “usufruttuario e amministratore perpetuo” del monastero. Questa sostanziosa prebenda gli permise di vivere tranquillamente a Prato, conteso nei ritrovi pomeridiani e serali da tutte le più nobili famiglie, libero di “coltivare i dolcissimi orti delle dilettevoli Muse”.
In questo periodo compose le sue opere più famose come La prima veste dei discorsi degli animali, in cui con suggestiva invenzione esalta le bellezze naturali della val di Bisenzio e di tutto il territorio pratese (dimostrandone anche un’ottima conoscenza), e i Dialoghi sulle bellezze delle donne, tesi a descrivere le forme della donna ideale.
Il Firenzuola rimase abate di Vaiano per soli due anni, probabilmente i più felici della sua vita: mantenne però il titolo di pensionarius della Badia, che gli garantiva una modesta rendita, fino alla morte avvenuta nel 1543.
Il complesso architettonico e artistico del monastero di S. Salvatore (notificato nel 1982 dalla Soprintendenza per Beni Ambientali e Architettonici di Firenze e Pistoia ex lege 1089/39) si presenta oggi come il risultato di un lavoro millenario di costruzione. Anche se tutto l’edificio deve essere considerato come un organismo unico, in esso si possono distinguere tre fasi costruttive diverse: la chiesa e il campanile, il monastero.
La chiesa presenta un impianto basilicale e presbiterio rialzato dalla cripta sottostante, secondo un uso tipico del romanico. Le navate, con il tetto a capriate lignee a vista, sono separate da archi sostenuti da pilastri quadrilateri e privi di decorazione, che si rifanno ai caratteri del più antico romanico, largamente diffuso nel territorio fiorentino. L'impianto della chiesa, conclusa originariamente da tre absidi semicircolari, è quello primitivo del monastero benedettino: cronologicamente si deve collocare intorno alla prima metà del secolo XI, sia per i caratteri del paramento murario, sia per lo schema a tre navate, assolutamente inconsueto per i Vallombrosani e quindi precedente il loro arrivo.
Nella chiesa si conservano pure opere dei secoli seguenti. Tra queste i dipinti di Giovanni Maria Butteri (1540-1606), allievo di Agnolo di Cosimo detto il Bronzino: una tavola con il Crocifisso (1580), sul cui fondo si vede la raffigurazione sommaria della Badia, e una tela con La Madonna col Bambino in trono, San Giovannino, Sant'Andrea Apostolo e San Lorenzo, commissionata nel 1586 dall'abate don Andrea da Gaiole. Al secolo seguente appartiene una tela di Orazio Fidani (1606-1656) raffigurante La Vergine e il Bambino che appaiono a San Francesco, mentre di tutte le opere realizzate dall’abate don Vittorio Lapini fra ‘600 e ‘700 rimangono il coro ligneo con al centro il grande leggio (il badalone) ed i quattro altari laterali.
Collegata alla chiesa è pure la sacrestia del 1736-1738 nella quale si trova un articolato mobile in noce caratterizzato da struttura che conserva un carattere ancora seicentesco mentre la parte terminale con motivi fitomorfi e vasi pirofori è un vero capolavoro di intaglio rococò, secondo il più aggiornato gusto dell'epoca. Nella parte centrale del fregio, caratterizzata da un timpano spezzato, è inserito lo stemma del monastero. Motivo di interesse è la scoperta dei nomi degli intagliatori pratesi che lavorarono alla sua realizzazione: Guido Vaggi, Nicola Zelmi, Lorenzo Magnolfi, che testimoniano il notevole sviluppo raggiunto a Prato nel settecento dall'artigianato del legno.
L'alta e slanciata torre campanaria (40 m.) è tipica dell'architettura vallombrosana. La sua costruzione risalirebbe all'epoca dell'abate don Verde (1258-1266), ma egli probabilmente modificò una struttura precedente: Vaiano era infatti una “villa” al confine del territorio pratese e poi fiorentino e la torre, oltre alla funzione liturgica poteva assolvere anche a funzioni difensive, come indicano le caditoie per la difesa piombante. Nella parte inferiore del campanile si apre una sola monofora, mentre i due ordini superiori presentano una bifora sui quattro lati.
Nella cella campanaria soprastante si aprono quattro grandi monofore che, fino al restauro del 1974, ospitavano il doppio di campane fuse nel 1777 per ordine dell'abate don Ambrogio Lavaiani. Tutta la struttura, semplice ma possente, è rivestita di un regolare paramento in alberese, alternato da rade fasce in serpentino o "marmo verde di Prato". Il coronamento in aggetto, con la merlatura sormontata dal tetto a travi lignee, è frutto di un intervento quattrocentesco.
Il complesso architettonico si articola intorno al chiostro da cui si accedeva agli ambienti del monastero: la sala capitolare, la camarlingheria (per il monaco che riscuoteva i fitti, il camarlingo), il “salotto” di collegamento fra la cucina e il refettorio, la residenza dell'abate. Al piano superiore erano situati i dormitori dei monaci, la camera del priore (il monaco addetto alla cura pastorale della borgata) e i magazzini al riparo dalle frequenti inondazioni. La costruzione del chiostro avvenne negli anni 1460-70 all'epoca del commendatario Carlo de' Medici, proposto di Prato. Analogie strutturali nell'impianto generale e nei particolari (capitelli scolpiti e formelle in terracotta con stemma mediceo) si notano tra il chiostro di Vaiano e il loggiato meridionale del palazzo vescovile di Prato, antica residenza del proposto. Si possono fare riscontri interessanti con il chiostrino della canonica di S. Donato a Calenzano, costruita nel 1460 proprio da Carlo de' Medici, e con i chiostri della basilica fiorentina di S. Lorenzo e della Badia Fiesolana, costruiti da Cosimo il Vecchio. Attualmente gli ampi corridoi, ricavati dal tamponamento dei loggiati del chiostro, e molti ambienti del monastero conservano interessanti decorazioni con prospettive architettoniche a ‘trompe l’oeil’, stemmi celebrativi e ‘paesaggi d’invenzione’.
Gli scavi archeologici testimoniano in origine la presenza di numerose tombe longobarde sotto la chiesa, di una delle quali è possibile vedere i resti nel percorso visita del Museo della Badia, visitabile sempre il sabato e la domenica: al suo interno, nell’antico scrittorio dell’abate, sono conservate edizioni rare di opere a stampa di Agnolo Firenzuola, cui è dedicata una delle tre Case della Memoria di Vaiano: le altre due sono la casa natia dello scultore Lorenzo Bartolini a Savignano e la villa del Mulinaccio, dedicata al letterato e viaggiatore Filippo Sassetti, che morì a Goa nel 1588.
Villa del Mulinaccio
Ai tempi di Galileo la villa del Mulinaccio già fronteggiava quella di S.Gaudenzio che apparteneva ai Buonamici.
La villa padronale del Mulinaccio, diventata poi sede dell’omonima fattoria dei signori Vai di Prato, prese il nome da un vecchio mulino alimentato dalle acque che scendevano dai monti di Schignano, dopo l’acquisto nel 1470 ne fece Francesco Sassetti, braccio destro di Lorenzo Il Magnifico e banchiere del Banco de’ Medici in varie città europee.
A costruire la parte più antica della villa fu Cosimo Sassetti, tra la fine XV e gli inizi del XVI secolo su un edificio preesistente, ma un secolo dopo (1609) nella proprietà subentrarono gli Strozzi, che, seguendo l'esempio di altre ricche casate fiorentine cercavano di estendere i loro possedimenti di campagna. Filippo Strozzi nel 1490 possedeva una casa sul poggio del Maglio e i suoi discendenti mantennero altre proprietà nella zona anche dopo il 1661, l'anno in cui vendettero la villa del Mulinaccio ai signori Vai (che ne conservarono la proprietà fino all’estinzione della famiglia, nel 1956), per 14 mila scudi dell'epoca.
Già allora non si trattava solamente della villa, bensì di numerosi poderi (nel Novecento erano 36 e giungevano fino a Cerreto di Prato), tanto che le costruzioni che sorsero attorno al primo nucleo signorile erano funzionali alle necessità di conservazione e di trasformazione dei prodotti della fattoria.
Di questo occorre tener conto nella ‘lettura’ delle varie parti e degli annessi dell’edificio, che fu restaurato e ampliato nel XVIII secolo. I lavori iniziarono nel 1722, epoca a cui si fa risalire l’ala meridionale e la cappella di S.Antonio Abate.
La chiesa è un esempio di barocchetto pratese, con pianta rettangolare e una decorazione che alterna stucchi e finti marmi. La sua elegante facciata mostra una finestra con cornice curvilinea e ornata di volute e un affresco particolare (il cosiddetto Muratorino) che vuole ricordare il contributo delle maestranze alla costruzione della villa, del giardino murato con Ninfeo e della Tinaia. Per tradizione davanti a questa chiesa intorno alla festa di S.Antonio, il 17 gennaio, si svolge ancora la benedizione degli animali.
All’interno il complesso del Mulinaccio si articola intorno ad un cortile sul quale prospettano villa e annessi.
Per quanto concerne il nucleo cinquecentesco esso fu costruito al tempo dei Sassetti (a partire dalla fine del XV secolo, a lato del Salvatico (Ragnaia, nei documenti antichi) che fino al ‘700 costituiva un’area importante, digradante fino al Bisenzio. Il boschetto, ancora esistente a settentrione della villa, rispecchia i canoni estetici delle ville rinascimentali ed è una parte della vecchia “Ragnaia”.
Al giardino si accede attraverso la caratteristica scalinata, a lato della quale si apre un pianoterra che fa parte del primo nucleo dell’edificio e che, a seguito di ristrutturazioni funzionali alle necessità della fattoria, si articola in dieci diversi locali con soffitto a volte, collegati tra loro.
La facciata rinascimentale dell’edificio cinquecentesco ha linee severe, con finestre rettangolari e portale centinato in pietre lavorate a bugne lisce, sormontato da stemma e fiancheggiato da quattro finestre inginocchiate (replicate anche sul lato meridionale).
Davanti al prospetto cinquecentesco si stende uno spalto erboso, ricondotto a prato, con vasca ottogonale, che si apre a terrazza sulla valle.
I locali sottostanti il nucleo cinquecentesco, con caratteristici soffitti a volta, erano originariamente adibiti a cantina, contenente botti di rovere o di castagno di Slovenia, con antichi strettoi mediante i quali si stringevano le vinacce.
Il frantoio era collegato ad un invaso sotterraneo (di cui resta ancora traccia) che raccoglieva le acque dei due fossi che scorrono nei pressi dell’edificio. Nei sotterranei è ancora visibile il ritrecine di grande diametro, con le pale di quercia per meglio sfruttare la forza dell’acqua. Al frantoio era annessa l’orciaia padronale, per la migliore conservazione dell’olio.
Si tratta degli ambienti più rustici, afferenti alla vita della fattoria, cui deve aggiungersi, per funzione, il grande locale adiacente al cancello d’ingresso al cortile nato come tinaia e costruito su due piani, uno a livello della strada, con ampia corte in origine pavimentata con manufatti dell’antistante fornace, ed uno a livello del giardino murato del Ninfeo (e con esso direttamente collegato), ad emiciclo a tre nicchie fra lesene binate, ornato di decorazioni realizzate con pietre spugnose (i caratteristici “spugni” di Savignano, raccolti lungo il torrente Nosa), madreperla e mosaici.
Di particolare interesse, per comprendere la vita della fattoria, è il piccolo Scrittoio del Fattore, nei mezzanini, con materiali archivistici e ritratti della villa del Mulinaccio.
Fra i personaggi che vissero qui sono da ricordare Filippo Sassetti, letterato rinascimentale e navigatore al servizio dei Portoghesi, autore di 120 lettere che parlano dei suoi viaggi, e Giuseppe Vai, membro dell’Accademia dei Georgofili, promotore della sistemazione idrica della zona attraverso serre di contenimento, di colture sperimentali (a lui si devono i tre grandi cedri monumentali del giardino ed il boschetto dei bambù) e del rimboschimento del monte di Javello. Negli anni Venti del Novecento l’edificio della fattoria (nella parte alta dell’ala meridionale) divenne anche centro di formazione professionale per i contadini, con l’apertura della scuola di innesti, seguita alla sperimentazione della vite americana (nel 1922) del professor Vittorio Racah. Ai partecipanti al corso, che imparavano le varie fasi della coltura della vite e le tecniche d’innesto, veniva consegnato un attestato di frequenza e un diploma.
Oggi la villa del Mulinaccio ha un piccolo pomario di frutta antica, frutto di innesti per mantenere la biodiversità delle piante locali, una fioriera di erbe aromatiche pensata anche per i non vedenti, siepi di fiori perenni e un orto didattico, lungo il percorso del Parco, che è compreso nell’Area Protetta del Monteferrato.