L'area protetta del Monteferrato e Schignano

Il territorio di Vaiano è compreso fra due Aree Protette, quella del Monteferrato a occidente e quella della Calvana a oriente.
Il Monte Javello costituisce la parte settentrionale, la più elevata con i suoi 900 metri, dell’Area Protetta del Monteferrato: qui dai 750-800 metri di quota compare il ceduo di faggio, che caratterizza le sue pendici fin sui crinali sommatali, frutto di un’importante opera di rimboschimento attivata nella prima metà dell’Ottocento da Giuseppe Vaj, proprietario della villa e fattoria del Mulinaccio. Di questo rimboschimento resta in località Gli Ebani un’interessante fustaia mista di abete bianco: il toponimo richiama alberi esotici, a chioma scura e nerastra. Sulla strada che da Schignano conduce a Migliana troviamo la monumentale Sughera, un ibrido naturale di cerrosughera, che, data la sua collocazione, è diventato il Monumento Naturale alle migrazioni stagionali di boscaioli e carbonai verso la Maremma e la Corsica.
Vastissimi boschi cedui invecchiati a prevalenza di castagno si succedono a pinete di pino marittimo: restano piccoli lembi di castagneto da frutto, in uno dei quali è compreso il parco di Vallupaia. Cerrete di un certo pregio si trovano nella zona della Collina, ove resta una bella serra di lecci secolari e il piccolo bosco dei cedri dell’Atlante, che risalgono al primo nucleo impiantato da Giuseppe Vaj presso la villa del Mulinaccio, ove nel parco si possono vedere i tre grandi cedri (del Libano, dell’Atlante e dell’Himalaya).
Nell’area del Monteferrato si trova la villa del Mulinaccio e Schignano, di origini romane, come ci dice la toponomastica, con un modesto abitato che nasce attorno alla chiesa nel medioevo, quando la Badia di Vaiano estese nella zona i suoi possedimenti: abbiamo notizie documentate delle “albergazioni” (vitto e alloggio) pagate dai contadini locali agli agenti del monastero che periodicamente controllavano l’andamento dei prodotti locali (grano, legname, pastorizia, allevamento, soprattutto). Ai primi dell’Ottocento i Vaj del Mulinaccio estero a Schignano la loro proprietà, acquistando i beni della Badia di Vaiano, dei Paoli, dei Bartolini e il mulino del Vado. In totale 20 su 23 poderi allora esistenti in questa zona, formando una seconda fattoria con sede nell’antico edificio prossimo alla chiesa di S.Martino.
Molti cittadini di Schignano, scendendo a piedi fino a Prato, parteciparono alle votazioni per il plebiscito del 1859, che ratificò l’annessione della Toscana.  Garibaldino e poi soldato di cavalleria fu il padre di Nello Quaranti, nato nel 1910 alla Fonte ai Prati, podere con bel castagneto proprietà della Chiesa: quando la zona era abitata prevalentemente da contadini, pastori, boscaioli e carbonai, assieme a braccianti di giorno in giorno a “buscicare”, arrangiarsi a cercar legna e con i prodotti del bosco (a cominciare dai funghi profumati portati al mercato di Prato alla stagione).
Dai primi del Novecento, in collegamento con Prato, attraverso la strada di Figline, Schignano diventò una villeggiatura ambita, con la costruzione di importanti ville signorili, come la villa Cappellini e la villa Fei, dove  Giulio Forti, proprietario dell’omonima fabbrica della Briglia, passava le ferie d’estate: una cinquantina di giovani del paese andavano a lavorare nel suo stabilimento, facendo a piedi il tragitto per sentieri nei boschi.
Nacquero all’epoca anche alcune botteghe storiche, assai apprezzate dagli alpinisti che con Emilio Bertini frequentarono la Fonte del Prete e il monte Javello che domina Schignano.
Nel 1880 fu costituita anche la Banda, intitolata a Giuseppe Verdi, il Vaj pagava il maestro (10 centesimi l’anno), che era spesso ospite in fattoria. La prova generale era il sabato sera. Il primo dell’anno sveglia alle 5 la mattina, anche se c’era la neve alta. Prima un giro di Schignano al ritmo di “Ritorna l’eroe” o “Torna il legionario” e poi il giro delle botteghe.
La sezione della Misericordia di Schignano nacque nel 1910, promossa da don Amedeo Pugi e fu la prima sezione rurale rispetto alla casa madre di Prato. Presidente per 35 anni fu Beniamino Lotti, sarto e barbiere, uno dei personaggi che animarono la vita del paese.
Giacche nere e berretti con striscia bianca e fasce al braccio. Una lettiga e un telo, la cassetta del pronto soccorso per le medicazioni, l’opera dei volontari della Misericordia fu di grande utilità per ogni incidente: un taglio, un morso da bestie, un colpo di sole a lavorare nel campo e suonava la campana, detta la Misericordiosa appartenuta all’antica chiesetta di S.Leonardo a Casi. Il carro a cavalli aspettava alla fattoria del Mulinaccio o a Figline.
Eventi calamitosi erano accaduti anche prima della costituzione della Misericordia di Schignano, se sis pensa al terremoto del 1897, che fece cadere la volta della chiesa, e il nubifragio del 10 novembre 1906. Ma le occasioni di prestar soccorso crebbero sensibilmente nel periodo della seconda guerra mondiale: basti pensare al bombardamento del 21 gennaio 1944, alle uccisioni di soldati Tedeschi e contadini, alle esecuzioni sommarie durante il passaggio del fronte, considerando che proprio sul monte Javello mise il suo campo base la formazione partigiana più importante del Pratese (denominata prima Storai e poi Buricchi).
Solo nel 1967 Schignano fu unito a Vaiano dall’attuale strada panoramica, sostituendo la carrareccia che si inerpica nei boschi da Castagneta e La Torre, avviando uno sviluppo edilizio dell’area che ne ha ridisegnato i contorni, mantenendone però il carattere specifico.
Il Centro Visite di Schignano, sopra la chiesa, è attrezzato per informazioni, materiali e, particolarmente, per attività didattiche rivolte alle scuole locali: è sede durante l’anno di incontri, mostre documentarie, iniziative che, all’interno dei Giardini Comunali, ne fanno il cuore delle iniziative per il tempo libero, assieme all’area delle feste attrezzata in località La Bertaccia.

L'area protetta della Calvana, da Sofignano a S. Leonardo

L’ANPIL della Calvana è nata per la salvaguardia di caratteri particolari: le grandi praterie sommatali, i boschi sottostanti, le doline e le grotte, gli esemplari vegetali e la caratteristica pietra  di alberese e colombino. Ma anche per un rilancio dell’area, in abbandono dagli anni Sessanta, pensando alla pastorizia ed all’allevamento della razza Calvanina, vacche da carne autoctone.
A Le Fornaci, antico borgo di Sofignano, è nato un Frantoio Consortile ed un Centro Visite: quest’ultimo, con bed and breakfast annesso, è un luogo di prima informazione e la sede di laboratori didattici, punto tappa di sentieri e percorsi su antiche strade bianche, con offerta di anelli trekking e itinerari per visite guidate.

I principali punti tappa:

Le Fornaci 
Antico borgo nato per iniziativa di Jacopo Brandi, fornaciaio dell’Impruneta che, a metà del XV secolo, ebbe in concessione dai Buonamici di S.Gaudenzio, per contratto di livello, un piccolo “tenimento” di terra per costruirvi casa e fornace: per sé, per i propri figli e per i loro discendenti a linea mascolina. Il borgo delle Fornaci diventò nel tempo luogo di residenza anche di braccianti, che praticavano l’arte di arrangiarsi, andando ad opera, praticando la pastorizia e la caccia, rastrellando legna (anche per fare i bucati conto terzi) nel Poggio delle Scope e nel Piano della Selva, sotto il quale erano i Termini, a confine con la proprietà dei Buonamici.
Pieve dei SS. Vito e Modesto
A 410 metri d’altitudine, sulla strada di mezzacosta, questa chiesa di antica origine fu sede di una delle quattro pievi della val di Bisenzio: ha un’ampia facciata ed un bel porticato, abbellito dallo stemma in maiolica dei Buonamici, in chiesa una sola navata, un bell’altare in marmo bianco, due altari laterali oggetto di devozione popolare. La Pieve era il cuore della religiosità e della socialità dell’area mezzadrile di Sofignano, soprattutto per la festa del 26 giugno (compresa tutta la fase preparatoria dell’accatto dei Festaioli), quando si celebravano 26 messe in uno stesso giorno: non solo nella pieve, ma anche negli oratori della zona, per adempiere ad un voto fatto dalla popolazione minacciata dalla peste nel 1631.
Villa di S. Gaudenzio
Antico insediamento medievale, nato attorno alla chiesetta del popolo di S.Gaudenzio, nel tempo incorporato come oratorio gentilizio, insieme ad una caratteristica torre angolare, nel complesso della villa rinascimentale e fattoria, appartenuta, caso più unico che raro, dalle origini fino ad oggi ai Buonamici ed ai loro discendenti. Questa villa ospitò personaggi assai importanti invitati dai Buonamici durante la villeggiatura: dal Firenzuola a Sem Benelli, dal mamalucco Mustafà Effendi alla cantante lirica Goggi Marcovaldi. L’amicizia di cui i Buonamici ebbero maggiormente a vantarsi fu però quella di Galileo, celebrato nella Vigna delle Veneri.
La Vigna delle Veneri
Luogo storico, all’interno della villa e fattoria di S.Gaudenzio, sulla sponda destra del fosso delle Fornaci, dove sorge il monumento con lapide in onore di Galileo Galilei, collocata nel 1841 da Ranieri Buonamici, a ricordo dell’amicizia che legò il grande scienziato con il suo antenato Giovanfrancesco Buonamici dal 1630 e della vigna che produceva il vino caro a Galileo.
Fattoria Del Bello
Antica curtis medievale, poi grancia (granaio di una proprietà ecclesiastica) dell’Ordine dei Serviti, infine fattoria e villa di Pietro Del Bello, un diplomatico benestante, che l’acquistò all’asta nel 1867: in seguito fece notevoli investimenti per sistemare alcuni ambienti della villa, il giardino ed il Selvatico. Riadattò i locali di fattoria con tinaia, frantoio, scuderia, serra e pomaio; accrebbe il numero dei poderi (undici), la produzione e la qualità del vino. La proprietà passò, alla morte dei suoi eredi diretti, alle cugine francesi (Cecilia Bronne) e poi ai Fantini.
Buca del Tasso
Caratteristica grotta ad andamento orizzontale (ingresso a m.490) che si sviluppa per oltre 65 metri, sotto la strada che da Fonti porta al Piano dei Bianchi, sulla sponda destra del rio di Fontana, che scende dai monti della Calvana. Qui si rifugiarono molti sfollati, durante il passaggio del fronte nell’estate del 1944, nascondendo (anche nella vicina Buca della Volpe) il bestiame, per sottrarlo alle razzie dei Tedeschi.
Piani dei Bianchi
Prati appartenenti ai Bianchi, contadini del Poggio sopra la Pieve dei SS. Vito e Modesto: un tempo a pascolo e a coltura, oggi prevalentemente aree per attività del tempo libero, da cui partono importanti sentieri di collegamento con una delle più belle e conosciute zone della Calvana di Sofignano (la Fonte al Favo e Il Corso). In prossimità dei Piani esiste da secoli una bellissima quercia da sughero chiamata dal detto popolare “La Sughera”.
Fonte al Favo 
In antico menzionata anche come “Fonte al Fago”, a ricordo dunque di un favo o di un faggio isolato e raro nella zona: era gradito e rinomato luogo di ritrovo per i pastori e per i cacciatori, ritratti qui in alcune foto ricordo con le loro prede (fagiani e lepri).
Il Corso
Questo era uno dei luoghi più noti della Calvana di Sofignano, caratterizzato da prati belli e pianeggianti: “mitico”, a ricordo di una zona popolata da contadini e da pastori, assai diversa da quella attuale ove hanno preso il sopravvento i rovi e le spine.
Aia Padre
Altro luogo famoso della Calvana di Sofignano, per la pastura, per la fienagione e per vagliare il grano che i Bianchi coltivavano e lanciavano a palate nel vento, facendo ricadere i chicchi da una parte e la pula dall’altra.
Il Mandrione
Era uno dei pascoli più apprezzati della Calvana: il toponimo ricorda il tipico luogo di pastura (detto “la mandria”) della Calvana di Sofignano. Era anche un importante valico di comunicazione (a m. 841) fra la val di Bisenzio ed il Mugello, con collegamenti diretti con Citorniano, anch’esso antico possesso dei Buonamici.
Le Cave
Alle pendici del Mandrione, era il luogo da dove veniva estratta la pietra tipica della Calvana (alberese), sia per costruzione, sia per produrre calce e cementi.
Rimaggio,
Casa contadina, di cui si vedono ancora i resti, nei pressi della fonte omonima, dove il Firenzuola ambientò la favola del Leone di Rimaggio. Nel 1283 qui fu fondato dal mercante pratese Ubaldo di messer Adatto da Prato lo spedale di cui si vedono ancora i resti, incorporati nei muri della casa contadina di cui restano i ruderi seppelliti nel verde. Fu dotato di varie rendite e posto alle dipendenze del vescovo di Firenze. Per questa realizzazione Ubaldo fu sciolto dal voto di andare in pellegrinaggio a S.Jacopo di Compostela.
Le Mura
Località che anche nel toponimo ci riporta ad uno dei più antichi insediamenti di Sofignano, a ricordo dell’originaria fortificazione ghibellina che fu smantellata per volontà dei Guelfi pratesi nel 1305. In seguito divenne sede di villa e fattoria, appartenuta ai Geppi ed ai Vai.
Boana
Antico podere dei Buonamici, detto anche “Bovana” nelle carte archivistiche: era un podere ricco provvisto di vigna e olivi, campi da mettere a coltura, a lato del fosso di Rio al Taglio. Si trovano qui diversi esemplari di frutta antica.
Spina Vagliucci
In quest’antica area di pastura si trova un eccezionale esemplare di biancospino (Crataegus,sp.) a portamento arboreo di grandi dimensioni (alto 8 metri, vecchio di 400 anni), denominato Spina Vagliucci: al centro del pascolo dei poderi di Savignano, Casanera e Colombaia. Presso la Spina, tipica dell’ambiente della Calvana, si vede ancora un bel merizzo di carpine bianco e noccioli: a bordo del sentiero si vede un bel capanno di pastori.
Monte Maggiore
E’ la più alta sommità della Calvana (m.416): da qui si gode un’ampia vista, che in giornate chiare fa scorgere anche il mar Tirreno. E’ la tradizionale meta degli escursionisti, soprattutto nella stagione in cui fioriscono le giunchiglie. Anche don Siro Morozzi, pievano di Sofignano, faceva attaccare la treggia al suo contadino, per farsi portare sui prati del Monte Maggiore, per ammirare in estate il panorama della piana pratese e fiorentina.
Camposanico
Dal crinale della Calvana si scende verso gli insediamenti più alti del versante valbisentino. La casa contadina di Camposanico (m. 595) era di antica origine, ricostruita nel corso dell’Ottocento con materiali di una preesistenza medievale, aveva una fonte perenne e un bel lavatoio in pietra, che ne giustificava la collocazione e il toponimo.
Lavacchio
Scendendo ancora sulla strada bianca, da Camposanico si incontra Lavacchio (m. 513), casa contadina di cui oggi restano importanti ruderi: prende il nome dal grande lavatoio in alberese, usato un tempo anche per la pulitura della lana, giacchè alla pastorizia si dedicavano particolarmente i contadini di questa zona. Nei pressi dell’edificio si vede anche una bella quercia secolare.
Fonte del Bottino e Sasso Spugnoso
Costeggiando il torrente Nosa, che nasce alla confluenza tra il fosso del Bottino ed il fosso della Ripa, si trova una fonte ricca e caratteristica (Fonte del Bottino), in prossimità del cosiddetto Sasso Spugnoso: una formazione di travertino di grandi dimensioni, originata dalla vicina sorgente calcarea, con caverne e percorsi scavati dall’acqua, muschi e piante nate nelle cavità, anche resti animali cementati nel calcare.
Savignano
Sul corso della Nosa, deviato in epoca antichissima perché le sue acque non danneggiassero i campi sottostanti, sorge il paese di Savignano, con le sue case in pietra che tradiscono un’origine medievale e la bella chiesetta parrocchiale, dedicata ai SS. Andrea e Donato. Davanti al ponte sulla Nosa si stagliano un noce ed un grande gelso, a testimonianza della vita contadina di questo borgo che fu anche abitato da artigiani: nel podere davanti alla chiesa si trovava anche un bell’olmo, simbolo di saggezza, sotto il quale si riunivano a consiglio i capifamiglia nel “comune rustico” della villa di Savignano.
Guado rio degli Schizzi
Il fosso nasce a 750 metri di altitudine: ha una forte portata d’acqua dall’inizio, quando si chiama Fosso del Bosco al Pozzo, poi disperde una parte delle sue acque in vari percorsi sotterranei. Riemergono sulla strada sottostante detta degli Schizzi, con un caratteristico fenomeno di spruzzi d’acqua a cascata che precipitano in tanti rivoli nella Nosa sottostante, all’improvviso dopo giorni di grosse piogge.
La Fillirea monumentale
Sulla via degli Schizzi, tornando verso Savignano, si incontra lato valle una Fillirea monumentale, oltrepassate due querce sul lato di monte: è una pianta sempre verde tipica della macchia mediterranea che qui ha trovato un microclima ideale. Più avanti si incontra una fonte fra le rocce, scavate dall’acqua e ferite dagli scoppi di proiettili del secondo conflitto mondiale, accumulati e fatti scoppiare nel dopoguerra.

Forracani
E’ una corruzione popolare del toponimo Ferracani, riferibile al nome della famiglia che possedeva questi terreni e la bella casa medievale, in ristrutturazione ai piedi del bosco. La famiglia pratese dei Ferracani, imparentata con i Vai, era potente per la ricchezza che aveva accumulato con le sue attività di allevamento di bestiame.
Fabio
Fronteggiato dal selvatico poggio del Maglio, Fabio è un nucleo di case attorno alla piccola chiesa di S.Martino a Fabio (con la villa Cipriani, antica casa torre, e il nucleo del Ponticello, oggi agriturismo unito a fattoria didattica) è testimonianza di un antico insediamento di epoca romana, al centro del quale probabilmente sorse una villa rustica (localizzabile nel complesso a settentrione della chiesa. Essa risale al XII secolo, ha un bel  campaniletto a vela, un portico, una navata unica coperta da due capriate.
Parmigno
Raggiungibile dalla carreggiata che sale dalla chiesa, Parmigno è un terrazzamento naturale sotto il monte Cagnani, in area panoramica e molto suggestiva da un punto di vista naturalistico. Ebbe il massimo sviluppo nel XIII secolo e dell’epoca restano i ruderi degli edifici che ospitavano i contadini  ed un chiesino, intitolato a S.Stefano, con un bel portale e, all’interno, i resti di affreschi quattrocenteschi.
Faltugnano
Nella stessa zona, in direzione sud, verso Prato, si affaccia Faltugnano, soprastante il promontorio di Ugnano, su cui fu costruita la villa di Meretto. La chiesa, intitolata ai santi Giusto e Clemente, è il nucleo centrale di un’importante area mezzadrile costituita da case sparse, oggi ville residenziali, fatta di dimore rustiche, ma anche di importanti case torri, poi trasformate in ville: basta citare villa Organi e villa Ricci a poca distanza della chiesa.
S.Leonardo
Si tratta di un insediamento medievale, oggi in restauro dopo l’abbandono di oltre mezzo secolo, a guardia dell’antica strada di valico con il Mugello che da Prato dava accesso alla Calvana, in direzione di Valibona.
S.Leonardo in collina è in posizione dominante, sopra il tradizionale imbocco della valle (a La Madonna della Tosse) e vede nella chiesa, oggi diruta, il nucleo centrale di un piccolo borgo rurale fatto di case in pietra. Sono in corso progetti di recupero che finora hanno ridato vita ad alcuni edifici e che si propongono di ricostruire anche chiesa e canonica.

Galileo e la vigna delle veneri

Galileo fu invitato alla villa di S.Gaudenzio, sulle colline di Sofignano, alla fine di luglio del 1630, ospite di Giovanfrancesco Buonamici, che con lo scienziato vantava una parentela da parte della moglie Alessandra Bocchineri: la sorella di lei, Sestilia, aveva sposato a Prato l’anno prima il figlio di Galileo, Vincenzo.
Lo scienziato aveva appena concluso la stesura del suo  "Dialogo dei massimi sistemi" e quella fu l'ultima estate di quiete, dopo le fatiche di lunghi anni di studio: ancora non sapeva che la richiesta di pubblicazione della sua opera maggiore lo avrebbe portato in aperto contrasto con le autorità ecclesiastiche e che il destino gli riservava la scomunica e l'abiura. Proprio nei difficili anni che seguirono, Giovanfrancesco e Alessandra Buonamici, in segno di affetto, inviarono a Galileo il vino della loro Vigna delle Veneri: particolarmente apprezzato dallo scienziato, come egli si compiacque di significare nelle lettere del 4 febbraio 1633 e del 13 agosto 1636.
Con il gentiluomo pratese, che era all’epoca ambasciatore alla corte di Madrid e le cui imprese, come massimo esponente della sua famiglia, furono istoriate sulle pareti della villa di Savignano, nacque un’amicizia profonda, di cui resta larga traccia nell’epistolario con lo scienziato, nel quale emerge una reciproca stima in breve tempo trasformatasi in amicizia.
C'era tra i due un'affinità intellettuale tesa alla conoscenza ed alle nuove scoperte. Il Buonamici per Galileo poteva costituire all’epoca un punto di riferimento alla corte spagnola: una finestra aperta sulle grandi esplorazioni geografiche che solcavano l'Oceano Atlantico.
La corrispondenza con il Giovanfrancesco è di assoluto valore scientifico, attorno alla scoperta di Galileo per graduare le longitudini, punto massimo, e che solo resta per l'ultima perfezione dell'arte nautica, come scrisse egli stesso: soprattutto per l’interesse che si era acceso anche in Spagna su questo tema.
Dalla corte di Madrid giungeva il forte interessamento verso l'opera del grande scienziato, per risolvere il dilemma del secolo: come ritrovare, in successivi viaggi, le isole scoperte dai navigatori.
Tra il 1629 e il 1630 Galileo era nel pieno delle sue elaborazioni scientifico-filosofiche, quelle che dettero adito alla presentazione del "Dialogo sui massimi sistemi".
Sollecitato dal Granduca, il 30 gennaio 1630 aveva scritto un parere fondato sul moto dei corpi, allorché il sovrano gli chiese di trovare il modo di regolare il corso del fiume Bisenzio che attraversa la vallata omonima: quesito a cui rispose basandosi su alcune dimostrazioni giocate tra la fisica e la geometria, dopo aver letto i resoconti di due ingegneri dell’epoca.
Galileo non aveva una conoscenza diretta della zona e l’invito che gli giunse nel luglio 1630 lo incuriosì, anche per il fascino che su di lui esercitavano le personalità dei suoi  ospiti, che con due diversi itinerari, proprio due mesi prima avevano fatto ritorno alla villa di S.Gaudenzio: Alessandra dalla Germania e Giovanfrancesco da Madrid. Alessandra, gentildonna pratese nata Bocchineri, aveva avuto una vita molto avventurosa ed era stata dama di corte a Vienna. Dal padre Carlo, poeta e autore del poemetto 'Il Palladio', in lode di casa Medici, aveva ricevuto una buona istruzione. Quando egli diventò podestà di Bibbiena nel 1617 trovò da accasare laggiù la figlia, con il cittadino Lorenzo Nati, vedovo e già avanti negli anni, ma il matrimonio fu breve: nacque una figlia, Angelica, ma il marito morì all'improvviso. Come scrisse nelle sue memorie, Alessandra tornò a Prato e si ingegnò lavorando di ricamo nella casa paterna, dove vi erano otto figlioli tre femmine e cinque masti; come io trovassi la casa finita et senza un minimo sussidio per alimentar detta famiglia lo sa Dio benedetto, io ero la più vecchia che fussi in casa et pure ero giovane; poiché mio padre era carico di debiti et si trovava a Firenze dreto a rendere gli Ufizi, et dreto alle liti, et alle diavolerie, che ce n'era in abondanza. Nel 1621 Alessandra si risposò con il gentiluomo aretino ed eccellente musicista Giovanfrancesco Rasi, prediletto del duca di Mantova: fu un matrimonio di convenienza  e dopo pochi mesi il Rasi morì di febbre violenta. Alessandra, rimasta sola, accettò di partire per Vienna, come una delle cento dame che accompagnavano la sorella del duca di Mantova, destinata a diventare laggiù la futura imperatrice. Fu lì che conobbe e sposò Giovanfrancesco Buonamici. Appena tornata in Italia, nella tarda primavera del 1630, cominciò a costruire una straordinaria amicizia con Galileo. Straordinaria non solo per aver conosciuto da vicino il grande scienziato, quanto per la simpatia e la frequentazione intellettuale che la legò a lui, che la definì donna di fini “ragionamenti, tanto sollevati da comuni femminili, anzi tali che poco più significanti ed accorti potranno aspettarsi dai più periti uomini e pratici delle cose di mondo”.

Lettera di Alessandra Bocchineri a Galileo Galilei. Da Prato, 28 Luglio 1630:
Son rimasta così appagata della gentilissima conversazione di V. S. e tanto affezionata alle sue qualità e meriti che non saprei tralasciare di quando in quando di salutarla e pregarla che si compiaccia farmi sapere nuove della sua salute, e conservare insieme memoria del desiderio ch'io tengo d’essere onorata di alcun suo comandamento. E se non fusse che V. S. tiene qua persone  che credo per l'affetto che V. S. porta loro la costringeranno a venire a favorire queste nostre parti, avrei preso ardire di  supplicare V.S. che volesse consolarci colla sua presenza ne' prossimi giorni del principio di agosto: ma perché mi prometto di goderla in ogni modo mi riserbo ad altra occasione a implorare questa grazia, che sarà anco comune al signor Cavaliere mio marito che aspetto ad ogni punto torni di Val di Bisenzio e in nome suo saluto V. S.E, e di tutto core le bacio le mani e resto schiava alle sue virtù.

La storia dell’amicizia fra Galileo, Alessandra e Giovanfrancesco Buonamici, testimoniata anche dall’ultima lettera di Galileo scritta da Arcetri il 20 dicembre 1641, è simboleggiata dall’antica Vigna delle Veneri, a settentrione della villa di S.Gaudenzio a Sofignano, da cui veniva tratto il vino che piacque particolarmente a Galileo. Di questo erano ben consapevoli i discendenti di Giovanfrancesco, che ne conservarono gelosamente la memoria: fino a Ranieri Buonamici, l’ultimo erede diretto, che nel 1841, due secoli dopo la morte di Galileo, fece  murare un'iscrizione nella ricostruita Vigna delle Veneri.
Di essa resta ancora viva la memoria, sul pianoro digradante dalla costa delle Scope, sulla riva destra del rio Bronia. Qui al tempo di Galileo si coltivavano vitigni tipici toscani e ancora, a distanza di secoli, a S. Gaudenzio come a Savignano nei possessi dei Buonamici, resta traccia dell'impianto tradizionale, a viti maritate con acero campestre (comunemente detto 'oppio'), in un appezzamento vitato e olivato. I tipi di cultivar erano il Sangiovese e l'Aleatico, il Canaiolo e il Colorino, per le uve nere, e la Malvasia a bacca lunga ed il Trebbiano, per le bianche. Il vigneto, declinante ad esposizione sud/ovest, a 300 metri s.l.m., porta ancora i segni di un passato glorioso, cui ci rimanda Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana.

Archeologia industriale lungo il Bisenzio e la pista ciclabile

Un interessante itinerario di archeologia industriale, lungo il Bisenzio e la Pista Ciclabile che congiunge con Prato (11 chilometri e mezzo sulla sponda sinistra del fiume in mezzo al verde) si delinea da Vaiano fino a Gamberame.
Archeologia industriale di antica origine a cominciare dai mulini idraulici che si alimentavano con le acque del fiume: nel capoluogo il più antico, in via Gramsci (la Viaccia) fu di proprietà della Badia di Vaiano che ebbe vasche tintorie di cui restano ancora tracce visibili all’interno del suo complesso e locali adibiti alla follatura delle lane (a Pupille e in Gabolana). Non di rado questi impianti divennero del tempo fonderie di rame alimentati da un maglio idraulico (come nel caso del mulino della Viaccia) e fabbriche tessili.
Il primo stabilimento di particolare estensione fu il lanificio Alphandery (poi proprietà Cangioli e Canovai) nell’area settentrionale di Vaiano, in località detta ancora oggi Il Macchinone, a ricordo dei quaranta telai che inizialmente vi furono impiantati: oggi in abbandono, ha destinazioni che prevedono di conservare e riutilizzare la parte più antica di un’area industriale che fu di notevole importanza. Lungo viale Rosselli, nata all’epoca della costruzione della Direttissima e della Stazione al posto degli orti e dei campo della Badia di Vaiano, soprattutto negli anni Cinquanta del Novecento sorsero altre grandi fabbriche (la Stev e la Silvaianese) accanto a decine di stanzoni artigianali in strade che anche nella toponomastica tracciano la storia produttiva della zona (Via dei Tessitori, via dei Lanaioli, ecc.).
Attraversato il Bisenzio, sulla sponda opposta troviamo traccia dell’antico mulino dei Capitani, già censito nel Plantario del 1588, accanto al quale nacque a fine Ottocento la fabbrica Cai, che potrebbe essere oggetto di interessante recupero per attività sportive e del tempo libero, connesse con l’area verde del Parco C.Ferri, in antico “Cangione”, a denominare una zona lungofiume, dal nome del contadino che viveva nel podere di Casino.
Proseguendo verso sud, in quella che ancor oggi costituisce l’area industriale di Gabolana, troviamo uno stabilimento tessile di eccellenza nel campo della ricerca e della produzione, che sorge ove nel 1793 Francesco Buonamici fece costruire una ramiera, poi ferriera e fabbrica di lane (Cavaciocchi e Lenzi). Sopra questa località prende avvio la Pista Ciclabile Vaiano-Prato, che corre in mezzo ai campi, incastonata nel verde fino a raggiungere l’abitato de L’Isola, nato attorno alla storica fabbrica tessile che nel 1881 fu costruita da Beniamino Forti su un preesistente mulino ad acqua. Qui sarà possibile visitare il locale delle turbine alimentate da una gora monumentale, cui oggi viene ridato vita grazie ad un progetto di produzione di energia rinnovabile, legato al costruendo Ecoparco comunale.
L’energia rinnovabile da miniidro e da fotovoltaico ha grandi potenzialità nella vecchia città fabbrica della Briglia, che si incontra proseguendo verso sud sulla Pista Ciclabile, vero e proprio esempio di archeologia industriale che nei secoli ha creato un insediamento attorno agli impianti produttivi, di cui restano ampie tracce: nel settecento la più grande cartiera d’Italia, a metà ottocento una fonderia di rame minerale, quarant’anni dopo lo stabilimento Forti a ciclo completo in cui lavorarono prima dsella seconda guerra mondiale oltre mille operai.
La Pista Ciclabile accompagna il fiume e lo sovrasta fino a La Cartaia, altro esempio significativo di complesso industriale cresciuto nel tempo: nel medioevo sede di un importante mulino idraulico, poi di una cartiera che ha dato il nome alla località, infine di una grande fabbrica tessile (alcune parti della quale si devono all’opera di Pierluigi Nervi) della quel resta oggi attiva solo una rifinizione industriale. Il resto del grande complesso viene utilizzato per attività sportive, del tempo libero e della cultura, con la prospettiva di farne anche luogo di formazione ispirato all’archeologia industriale, all’energia rinnovabile, al tessile.
Collegata tramite Pista Ciclabile, Gamberame è un piccolo abitato lungofiume che ebbe al centro una fonderia di rame vecchio di cui restano ancora le tracce. Oggi è collegato con una zona residenziale soprastante all’interno della quale è collocato il Centro Civico di recente costruzione in un’area verde comunale.

Questa pagina ti è stata utile?